da Giorgia | 11 Mag 2020 | Slow Eating
Perché mangiare avocado sostenibile è un atto di ribellione?
Avocado toast, pancakes salati al salmone ed avocado, guacamole e nachos. Il brunch della domenica sta uccidendo natura e uomo. Il consumo di avocado, soprattutto quello messicano, negli ultimi 10 anni, è triplicato. Tuttavia, pochi hanno chiaro da dove arrivi questo “oro verde”, tanto buono quanto insostenibile.
L’avocado è innanzitutto il frutto di un albero, appartenente alla famiglia delle Lauraceae, che cresce in zone subtropicali o tropicali, soprattutto in America Centrale. Esistono, secondo una classificazione e studi sistematici, più di 500 varietà di avocado. Tuttavia, quella che siamo soliti consumare noi in Europa e USA è l’hass – varietà commerciale che si adatta perfettamente per forma, buccia e gusto agli standard del mercato globale di scala. La FAO ci fa poi sapere che la produzione di questo frutto esotico è più che raddoppiata dal 1993, stimolato da elevati margini di profitto e da una crescente domanda nelle regioni più sviluppate. Una maggiore consapevolezza dei benefici nutrizionali dei frutti tropicali come mango e avocado – definiti anche come “super foods” – ha fatto schizzare verso l’alto i consumi. Il primo paese produttore ed esportatore è il Messico, mentre i maggiori consumatori sono gli USA, con 859 tonnellate annue. Tutto ciò ha determinato tre importati conseguenze:
1. OGGETTO DEL DESIDERIO DEI NARCOS: negli ultimo anni assistiamo alla nascita del mercato nero e scontri tra cartelli messicani per assicurarsi questo settore di export di frutta esotica, che produce un giro d’affari da 2,5 miliardi di dollari. Nel concreto, l’avocado è diventato merce di contrabbando, tanto fruttuosa quanto la cocaina, per i Narcos della regione del Michoacan e Uruapan. E’ in atto una guerra per il monopolio dell’oro verde, con atti di violenza cruda e barbarie inaudita. Come i 19 cadaveri mutilati e lasciati appesi ad un cavalcavia il 9 agosto 2019. La popolazione ed i contadini locali vivono nel terrore di un sequestro o di un assassinio. Lo sfruttamento della manodopera minorile e nuova schiavitù sono la normalità. Tutto per sfamare la fame di guacamole nel mondo (più ricco).
2. IMPATTO AMBIENTALE: ogni anno, soprattutto negli ultimi 10, le coltivazioni di avocado si sono – non poi così lentamente – divorate ettari ed ettari di foresta. Ecco cosa causa, in parte, la deforestazione dell’America Centrale e Latina. Aree protette sono state fatte sparire per lasciare spazio alle coltivazioni di avocado. Si stima che, solo sul territorio messicano, questo frutto verde causi ogni anno la perdita di quasi settecento ettari. Per soddisfare l’aumento nei consumi, si tagliano via porzioni di terra e pini secolari per far spazio a – più economicamente fruttuosi -alberi di avocado.
3. SPRECO D’ACQUA: per ogni frutto, si stima siano necessari almeno 70 litri di acqua; oltre il doppio di ciò che servirebbe invece alla foresta per crescere. Un impoverimento delle risorse idriche che porta con sé disuguaglianze ed ingiustizie sociali. Troppo spesso l’acqua necessaria per l’irrigazione viene presa da fiumi o falde acquifere, senza guardare a chi invece da quell’acqua dipende: popolazioni locali, flora e fauna endemica e/o autoctona. Sono troppi i litri impiegati in questa coltivazione, soprattutto se si pensa anche alla siccità caratteristica dei paesi come il Cile, dove l’acqua è diventata un bene primario quasi del tutto privatizzato. Acqua che non è una risorsa infinita e le cui scorte sono destinate a diminuire, considerando l’avanzata del cambiamento climatico. Un danno contemporaneamente economico, sociale ed ambientale, che mette le comunità di queste regioni in ginocchio.
Cosa si può fare per evitare tutto ciò?
Il primo passo è smettere di mangiare avocado come fosse alimento fondante della nostra esistenza. Non posso credere che non riusciate a vivere senza. Lo avete fatto per il 90% della vostra vita: sono certa che riuscirete a tornare sulla retta via. Si potrebbe poi optare per alternative che siano effettivamente più sostenibili; realtà che coltivano avocado biologici, in armonia con la terra, esistono anche in Italia. Un esempio? @siciliaavocado che punta alla stagionalità del prodotto, non solo agli introiti. Chiaro che non potrete comunque mangiare avocado toast 365 giorni l’anno.
da Giorgia | 5 Mag 2020 | Zero Waste
Il nostro focolare è indiscutibilmente il nostro regno. Qui ci sentiamo al sicuro, protetti dal calore della nostra intima quotidianità.
In sociologia, lo spazio non è solo spazio. Insieme al tempo, il concetto di spazio si carica di percezioni e rappresentazioni individuali. Concepito come parte integrante della nostra cultura, come tale subisce una sua ridefinizione. Contemporaneamente, quindi, influenza la nostra azione sociale e da questa è influenzato, in un rapporto di mutua ridefinizione.
L’ambiente di casa perciò riflette la nostra individualità, il nostro pensiero ed approccio alla vita. Qui passiamo, con ogni probabilità, gran parte del nostro tempo (vedi la quarantena). Nel nostro porto sicuro abbiamo la possibilità di realizzare un primo cambiamento; un primissimo passo verso un mondo più sostenibile.
1. LA CASA SOSTENIBILE – Christine Liu
Christine Liu si pone proprio questo obiettivo. Lo scopo del suo libro è quello di porsi come guida pratica per chiunque voglia condurre un’esistenza più eco-friendly, partendo proprio dai confini domestici. Un viaggio attraverso i diversi ambienti di casa – bagno, cucina, camera da letto e soggiorno. Quali strade possiamo imboccare nel nostro intimo spazio quotidiano?
In realtà, mi spiace un po’ consigliarvi questo libro. Scioccamente penso mi abbandoniate per seguire esclusivamente i consigli della Liu (il suo blog è indubbiamente più carino del mio, ci tocca ammetterlo). Lei minimalista, ambientalista e dalla casa instagrammabile. Io casinista e con una leggera tendenza al pollice nero. I suoi consigli sono davvero una manna dal cielo. Ad esempio, ho stravolto e riorganizzato il mio frigo, in modo tale che le verdure si conservino meglio e quindi mi durino di più. Ho scoperto una ricetta per un dentifricio homemade e come arredare il mio appartamento con mobili ecosostenibili.
2. IL MIO ORTO ZERO WASTE – Katie Elzer-Peters
Non sono un’esperta di botanica. Non sono nemmeno una contadina. Però mi piace circondarmi di piantine sul terrazzo di casa. Aiutano le api ed altri insetti impollinatori; ma soprattutto aiutano me, poiché stimolanti. Mi tengono attiva.
Parsimonia e riutilizzo posso avvenire anche nel nostro piccolo orto. Cresce il bisogno di autosufficienza, soprattutto quella alimentare. Come coltivare il proprio cibo, evitando anche gli sprechi in cucina? “Il mio orto zero waste” vi aiuterà in questo, mostrandovi come coltivare l’aglio sul terrazzo di casa propria sia un’attività ludica e semplice.
3. DETERSIVI FATTI IN CASA – Mary Ann Simpson
Un regalo di mia sorella per Natale 2019, che mi è tornato utile per non sprecare e pulire casa con ciò che avevo a disposizione. Un manuale con più di 200 ricette, facilmente replicabili e semplicemente ecosostenibili.
L’arte del riciclo è direttamente imparentata con l’arte dell’arrangiarsi. Smacchiare una maglietta con del limone? Pulire il parquet con un detergente autoprodotto e biodegradabile? Le soluzioni eco-friendly ed anti-spreco sono davvero alla portata di tutti; basta aprire la dispensa.
Questo articolo è stato selezionato da Twinkl tra le migliori risorse per uno stile di vita eco-sostenibile, trovi più informazioni su Twinkl Sustainability Week.
da Giorgia | 30 Apr 2020 | Zero Waste
Quando si parla di ciclo e soluzioni ecosostenibili si pensa subito alla coppetta mestruale. C’è da dire che, sebbene per molte sia una valida alternativa, la coppetta non è necessariamente per tutte. Molte di voi la utilizzano e si sono da subito trovate bene. Altre, come me, non sono riuscite ad indossarla per più di 20 minuti senza invocare qualche demone medievale. Altre ancora, invece, non si sentono a proprio agio con l’inserimento manuale della coppetta. Cosa fare?
Il ciclo mestruale è un fenomeno fisiologico soggettivo. Ognuna di noi vive questo momento del mese in maniera diversa. Chi ha bisogno di più zuccheri. Chi non sente alcuna differenza rispetto a qualsiasi altro giorno del mese (vi invidio, lo dico). Chi ha gli ormoni a palla o un forte mal di testa. Chi soffre di dismenorrea e chi invece potrebbe scalare l’Everest in tutù di tulle.
Insomma, il ciclo non è uguale per tutte. Allo stesso modo, gli strumenti per raccogliere il flusso mestruale non sono e non DEVONO essere uguali per tutte. La verità è che, sebbene la coppetta sia ecologica, pratica ed economica, non tutte sono disposte a inserirsi un oggetto, considerabile estraneo, nella propria vagina (true story). Non temete, ci sono però altre validissime alternative. Qui ve ne mostro alcune.
ASSORBENTI COMPOSTABILI
Personalmente, lo dico subito, tra i miei preferiti. Sono realizzati in cotone biologico (sia all’interno che all’esterno) e mater-bi. Una volta finito di utilizzarli, li si getta nell’umido perché compostabili e biodegradabili nella loro interezza. Non proprio “zero waste”, ma sicuramente più amici dell’ambiente.
Io mi sono trovata divinamente con il marchio italiano Ecoluna (qui il link per acquistare). Realizzati in cotone biologico, sono completamente ipoallergenici. Non creano prurito o irritazione. Altra nota positiva: sono un prodotto italiano e la loro confezione è in cartone riciclato. Insomma, si evita la plastica del “classico assorbente” e si riduce di gran lunga il proprio impatto ambientale. Approvati.
ASSORBENTI RIUTILIZZABILI
Altra validissima alternativa sono gli assorbenti, sempre esterni, lavabili. Sono davvero eco-friendly poiché la loro durata si aggira attorno a i 5-10 anni (più o meno quanto la durata di questa ETERNA quarantena). In circa 40 anni di cicli mestruali di una sola donna, sostituiscono più o meno diecimila assorbenti usa e getta. Dato anche il loro prezzo – un assorbente riutilizzabile costa tra i 3-7€ – sono particolarmente economici. Il risparmio in un anno si aggira attorno ai 100€.
I marchi sono potenzialmente infiniti, ma vi suggerisco Eco Femme poiché ho avuto la possibilità di testarlo io stessa sulla mia pelle (o meglio, sull’epidermide dell’area vaginale).
Si tratta di brand che nasce nel 2010, a Tamil Nadu, nell’India rurale. L’obiettivo dell’azienda è sicuramente quello di proporre un cambiamento ambientale, ma anche realizzare una rivoluzione culturale e sociale. Con l’acquisto di un loro assorbente riutilizzabile, sosterrete il progetto “pad for pad”; per ogni assorbente venduto, si garantirà l’accesso ad una giovane donna indiana a lezioni di educazione mestruale. In diverse zone dell’India, il ciclo rappresenta ancora un tabù; elemento che causa l’impossibilità per alcune donne di vivere serenamente e dignitosamente il proprio corpo.
Altra figata: gli assorbenti sono realizzati in flanella di cotone biologico non sbiancato, perciò sono ipoallergenici e lavabili in lavatrice. Come lavarli? Mettere in ammollo l’assorbente in una bacinella d’acqua FREDDA, per una trentina di minuti e poi passarlo in lavatrice, come fosse un qualsiasi capo del vostro armadio.
SLIP RIUTILIZZABILI
Premessa: non ho mai provato gli slip riutilizzabili. Tuttavia, sono a conoscenza della loro esistenza perché persone fidate hanno testato queste “mutande salva-ciclo”. Si tratta di semplici e comode mutande assorbenti, che evitano la fuoriuscita di mestruo, raccogliendolo come un normale pad esterno.
La prima recensione, e perciò brand, che vi suggerisco è quella della mia scrittrice-ribelle-torinese preferita, Gynepraio (un nome, una garanzia sugli argomenti trattati). La recensione di Valeria è alquanto illuminante. Vi spiega anche come indossare gli slip assorbenti Cocoro e quali piccole precauzioni prendere al momento del primo utilizzo. Vi risolve qualsiasi dubbio o perplessità.
Altro brand di period underwear è Thinx. Il funzionamento è lo stesso degli slip menzionati poco prima; si indossano come delle mutande normali, quando si ha il ciclo. Contengono fino a 7 strati assorbenti e una struttura studiata per combattere la formazione di batteri. La loro capacità assorbente dipende dal modello di mutanda scelto. Le culotte, ad esempio, raccoglieranno più flusso rispetto agli slip. Quale scegliere? Io vi consiglierei quella in cotone biologico, sia per il benessere della vostra pelle, che per l’ambiente (il cotone organico statisticamente produce meno emissioni inquinanti).
L’unica “pecca” del riutilizzabile è che non basta avere una sola mutanda o assorbente, ma ne servirebbero almeno due. Così, quando se ne usa uno, si può lavare l’altro (it’s not rocket science, ma è sempre meglio dirlo!).
Buon eco-ciclo a tutte!
da Giorgia | 11 Apr 2020 | Informarsi
Inizio col dire che mi sono rotta le balle di questa falsa positività che dilaga sui social network. La quarantena fa indubbiamente schifo. A tutti. Se pensate il contrario, state mentendo innanzitutto a voi stessi. E poi mentite anche a noi poveracci frustrati. Noi che, in questa situazione, di positivo vediamo solo il distanziamento sociale da voi schizzati ottimisti.
Ecco, è chiaro. Le vibrazioni positive con annesse frasi motivazionali non sono il focus di questo articolo. Spiacente! Qui voglio sbattervi in faccia la realtà cruda e tutt’altro che felice in cui viviamo (con l’assenza del mio psicoterapeuta-punching ball-boyfriend, devo pur scaricare le mie insoddisfazioni su qualcuno).
Chiaro, l’incontro con questa infausta realtà avverrà per mezzo della lettura, perché lotta nonviolenta e divulgazione culturale semper!
- “IL GRANDE CARRELLO. Chi decide cosa mangiamo” – Stefano Liberti e Fabio Ciconte
Un libro inchiesta scritto a quattro mani, da due giornalisti esperti della filiera agro-alimentare. Pensavi che il tuo carrello della spesa non si macchiasse di sangue? Leggi il libro e ripensaci!
Con questo testo siamo arrivati a Montecitorio, riuscendo a mettere legalmente fine alle sleali “aste a doppio ribasso”. Si tratta di una pratica assai diffusa nella Gdo, che permette al supermercato di accaparrarsi enormi partite di prodotto a prezzi stracciatissimi. Chi si sobbarca i costi di questo calo di prezzo? Chiaramente l’ultimo, e già più debole, anello della filiera alimentare: i braccianti agricoli. Questa lettura dovrebbe quindi renderci cittadini-consumatori più consapevoli, almeno al momento dell’acquisto.
- “CHE MONDO SAREBBE” – Cinzia Scaffidi
Un saggio sfacciatamente ironico e potenzialmente femminista sulla pubblicità e i modelli sociali che questa ci (ma anche “si”) impone. Testo anche un po’ post-strutturalista, se vogliamo parlare in termini sociologici, che vuol far riflettere sulla potenza comunicativa degli spot pubblicitari, soprattutto quelli dell’alimentare.
Perché “la mamma è sempre la mamma”? Perché se il papà del mais Bonduelle prepara una cena romantica arrangiata per la figlia, è un bravo genitore 1? Come è cambiata la pubblicità negli ultimi anni? È davvero più inclusiva e meno normata dal gender? E, soprattutto, la comunicazione commerciale ci descrive?
- “IL VALORE DELLE COSE E LE ILLUSIONI DEL CAPITALISMO” – Raj Patel
Ogni volta che discuto con qualcuno di economia della condivisione (ne parlo come se mi accadesse ogni giorno!), cito sempre il buon saggio Patel. Innanzitutto, questo libro ha il merito di aver reso a me comprensibili terminologie economiche e settoriali assai distanti dalla mia ratio. Gridavo quasi al miracolo!
Altro elemento che gioca a suo favore: è super scorrevole. Ditemi se è una qualità riscontrabile in tutti i saggi di economia! No, infatti.
Mi ha poi aiutata a ragionare sui costi nascosti delle cose che acquistiamo. Perché un hamburger di qualsiasi fast-food costa così poco? Perché, invece, i prodotti sostenibili costano indubbiamente di più? (Qui trovate la risposta, non ringraziatemi)
“Ogni volta che comperiamo una banana il 45 per cento di ciò che paghiamo va al rivenditore, il 18 per cento all’importatore, il 19 per cento viene assorbito dai costi di trasporto, mentre alla compagnia che controlla la piantagione spetta circa il 15 per cento. Al contadino, a colui che ha lavorato la terra e si è impegnato concretamente per far crescere il frutto, resta meno del 3 per cento: una miseria.” (La tocca piano, mi sembra chiaro)
Insomma, l’obiettivo di Patel è chiaramente ambizioso – ed anche un po’ nobile, se chiedete a me – ed il suo lavoro potrebbe aiutarci a rivalutare il mercato finanziario di oggi. Un “vai-a-stendere” al neoliberalismo molto pacato e tipicamente british!
da Giorgia | 8 Apr 2020 | Zero Waste
Dirò qualcosa di assolutamente poco rivoluzionario: io amo stare sotto la doccia. Adoro il calore dell’acqua bollente sulla pelle, il profumo dello shampoo e l’abbraccio del bagnoschiuma. La piccola-e-davvero-poco-ecologista-me ci stava “delle ore”; in realtà ci stavo 15 minuti, ma a mia madre, giustamente attaccata alla bolletta parsimoniosa, quei minuti parevano ore. Poi, con l’avanzare dell’età, sono diventata attaccata alla bolletta parsimoniosa anche io.
Ora so – e mi sembra anche il caso di dire – a mie spese, che il tempo di permanenza ideale sotto al soffione dovrebbe essere inferiore ai 4 minuti. Per aiutarmi a ridurre il mio impatto ambientale anche dal punto di vista idrico, soprattutto all’inizio, impostavo un timer sul telefono. Con questo allenamento, non così sfiancante, sono riuscita a limitare lo spreco della risorsa più preziosa che abbiamo: l’acqua.
Peccato che cronometrarsi non basta.
Un altro enorme passo verso la sostenibilità ambientale, anche nell’intimità del mio bagnetto di casa, l’ho fatto EVITANDO LA PLASTICA USA E GETTA come la peste bubbonica del 1200.
Ho iniziato a farci caso lo scorso inverno. Entravo in doccia ed ero costantemente circondata da plastica monouso. Contenitore dello shampoo, del balsamo e del bagnoschiuma. Perfino la lametta per depilarmi è in plasticaccia usa e getta!
Così ho iniziato a cercare alternative più sostenibili, ma soprattutto più valide e green. Questa è la mia personalissima lista, affinata con l’esperienza, di prodotti #PLASTICFREE e #ZEROWASTE per il bagno.
SHAMPOO SOLIDO – @ethicalgrace
Che cos’è uno shampoo solido? Banalmente, si tratta di uno shampoo in versione “saponetta”, che permette di utilizzare il prodotto nella sua interezza, senza buttare via nulla. Questo perché non c’è plastica nella confezione e, trattandosi anche di una formulazione totalmente naturale, vi porterà a limitare nel tempo la frequenza di lavaggio dei capelli.
Ve lo dice una che ex ante Ethical Grace aveva un cuoio capelluto talmente grasso che doveva lavarselo OGNI GIORNO. Ora sono passata ad un lavaggio ogni 2 giorni: one step for humanity, but a big step for la bolletta di Giorgia. Io utilizzo lo shampoo solido 2 in 1 (Gengevo) di Ethical Grace, con formulazione per capelli normali o fini, e non tornerei indietro per nulla al mondo.
Chiunque, infatti, abbia utilizzato questo brand farà proselitismo e vi consiglierà sempre e comunque Ethical Grace, poichè è uno dei pochi shampoo solidi de cristo che funziona veramente.
Sono innanzitutto prodotti formulati con ingredienti di derivazione strettamente naturale. Nella magica ricetta NON ci sono i derivati del petrolio, i siliconi, l’alcool, i PEG o PPG. Non trovate ingredienti inutili e potenzialmente dannosi come profumi sintetici o coloranti, ma è tutta nature.
Insomma, è buono, fa bene alla pelle e soprattutto, amici miei, FA SCHIUMA. Sì, perché se avete già utilizzato in passato uno shampoo solido/saponetta conoscerete perfettamente l’annosa questione della schiuma. Ecco, qui ve la dimenticate perché non avrete problemi.
DENTIFRICIO – @georganics
Onde evitare di buttare via tubetti “in-riciclabili” di dentifricio, mi sono armata di buona volontà e ho cercato una soluzione valida. Anche qui: ho fatto diversi test con diverse marche e formulazioni, ma pochi prodotti mi sono sembrati un affare.
Le varie ricerche empiriche mi hanno fatto capire due cose: un dentifricio contemporaneamente buono per i denti e sostenibile è ancora un miraggio.
Confrontandomi con un’igienista dentale, ho scoperto il magico mondo del RDA (l’indice di abrasività). Molti marchi di dentifricio, soprattutto quelli in versione solida o in polvere, sono particolarmente abrasivi, poiché realizzati con formulazione acido + carbonato. Indeboliscono, quindi, lo smalto dei denti e dovrebbero essere integrati con prodotti remineralizzanti, dal RDA basso (hai visto come ho studiato?).
Quello di Georganics è un dentifricio “naturale”, che rimuove il tartaro e sbianca i denti, ma rimane comunque abrasivo. Il lato positivo però c’è: non contiene glicerina, non è stato testato sugli animali ed è sostenibile nella suo produzione.
Altra comodità: con l’acquisto del dentifricio, ti omaggiano di una spatolina in legno, per prelevare il prodotto dal vasetto, in modo tale da evitare il contatto diretto con lo spazzolino e quindi la diffusione di germi o batteri.
Consiglio spassionato: acquistatelo, ma utilizzatelo con moderazione.
RASOIO IN OTTONE – @pureosophy
Sì, non traggo gioia dal comunicarvelo, ma anche a me tocca sottostare alle intricate e complesse logiche della nostra società maschilista e settimanalmente mi sottopongo al “taglio del pelo”.
Lo faccio con un occhio di riguardo per l’ambiente e faccio la scelta ecologica più ragionata: scelgo un rasoio sostenibile, realizzato senza impiego di plastica e con le lame sostituibili. Essenzialmente, si cambiano solo le lamette, mentre il corpo del rasoio durerà per sempre (un po’ come un diamante, ma forse più utile). Il marchio che ho scelto nell’infinito mare di possibilità è: Pureosophy. Maneggevole, bello per il design un po’ nordic style ed è anche unisex.
SPAZZOLINO – @negozioleggero
Ora vi dirò una cosa che farà prendere “ammale” chi mastica (sempre “ammale”) di sostenibilità ed è convinto che gli spazzolini in bambù siano la soluzione per la lotta alla plastica. Mi spiace infrangere il sogno, ma questo genere di prodotto non serve ad una fava.
Innanzitutto, le setole degli spazzolini in bambù sono realizzate – nel 99.9% dei casi – in nylon, che è un altro modo per dire che cosa? PLASTICA, esatto. Una volta che gettate via lo spazzolino quindi non state facendo un “bene per il pianeta”, come pensate, ma state dando origine ad un altro problema: un corpo compostabile attaccato ad una testina, invece, non recuperabile.
Soluzione? Acquistare uno spazzolino con un corpo in plastica, dalla “vita” infinita, e con la testina intercambiabile. In questo modo, a finire nel cestino della spazzatura saranno solo le testine.
Io ho scelto quello di Negozio Leggero per pura comodità: l’ho trovato a Torino e viene venduto senza imballaggi in plastica.
FILO INTERDENTALE – @pureosophy
Realizzato in nylon ed avvolto da un ingombrante packaging sempre in plastica, il filo interdentale pareva proprio un insostenibile spreco. Sono state però create alternative eco-friendly a base di seta e cera d’api. In questo modo, il prodotto, rimanendo comunque usa e getta, tende verso l’ecologico.
Ci sono circa quei 400 marchi che potreste tranquillamente acquistare, ma se proprio vi sentite in balia della tempesta causata dall’impossibilità di scelta, allora optate per Pureosophy; i danesi non sbagliano mai.
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