Il Ciad si è accordato con l’Angola per saldare un vecchio debito attraverso un pagamento rateizzato di 75mila capi di bestiame. Esatto, niente soldi o moneta tradizionale, ma bovini per pagare debiti risalenti al 2017. Un occhio poco attento potrebbe percepire la cosa come sinonimo di primitività degli stati africani, che, nonostante l’avanzata della globalizzazione, rifiutano i nuovi sistemi economici, favorendo invece l’arcaico baratto.
La recente notizia ci arriva dalla BBC e può far sorridere se non si conosce la triste piega che stanno prendendo le cose nel continente africano. Parliamo di drammatico calo delle risorse idriche ed insicurezza alimentare, come denuncia la FAO. Una notizia di questo taglio dovrebbe farci comprendere la direzione che prenderanno i futuri conflitti tra Stati. Il nocciolo delle “discussioni armate” tra governi sarà l’approvvigionamento idrico, non più il petrolio.
Ecco perché, per comprendere a fondo la portata di tale scambio economico di bovini, dobbiamo tenere a mente le peculiari condizioni che caratterizzano gli stati africani, sia dal punto di vista antropologico che ambientale, per non trarre conclusioni affrettate, tipiche della mentalità coloniale europea.
Chiediamoci, innanzitutto, perché basare uno scambio economico tra Paesi su dei capi di bestiame.
I bovini sono al centro delle tradizionali dinamiche socioeconomiche del continente. Sono elemento fondante delle organizzazioni sociali e delle diverse etnie sparse sul vasto territorio africano. Storicamente, i bovini venivano predisposti come dono al momento dei contratti matrimoniali. La concessione, il dare in dote alla famiglia della sposa un certo numero di capi di bestiame sanciva legame matrimoniale e perciò di parentela.
Insomma, la possibilità di pagare il debito in bestiame, anziché in denaro, e la ridistribuzione del “cattle” ad imprenditori e allevatori angolani fungerebbe anche da strumento di regolazione sociale, per il mantenimento della struttura sociale stessa.
Ambiente: perché l’Angola ha rifiutato un compenso pecuniario, preferendo invece dei bovini?
La Repubblica dell’Angola è tra i paesi africani più ricchi, grazie ai suoi giacimenti petroliferi. Negli ultimi anni, però, ha dovuto fare i conti con gravi problemi di siccità che hanno messo in ginocchio le categorie sociali che basano la loro sussistenza su agricoltura e allevamento. I tassi di mortalità per sete, fame e malattia tra il bestiame sono alle stelle.
Il Ciad, invece, si trova in condizioni economiche ben peggiori; è tra i paesi africani più poveri e dipende in gran parte dall’allevamento di bestiame, la cui esportazione rappresenta il 30% dei guadagni del paese. Guardando i dati delle FAO, notiamo quanto la presenza del bestiame sul territorio sia preponderante: per 1 persona, in Ciad, ci sono 6 bovini.
I problemi di siccità e di sicurezza alimentare, quindi, sono sempre più frequenti, soprattutto nel continente africano. La situazione è particolarmente grave in Ciad, dove il fenomeno della desertificazione avanza di 600 metri ogni anno, mangiandosi terreni coltivabili e mettendo a repentaglio la sussistenza dei singoli agricoltori.
A ciò si aggiunge anche la progressiva perdita di risorse idriche del Lago Ciad, che negli ultimi 50 anni ha perso il 90% della sua portata d’acqua. Inoltre, l’instabilità politica di questa regione subsahariana porta con sé violenza e corruzione, lasciando spazio ad organizzazioni terroristiche jihadiste come Boko Haram. Questa ha assediato le sponde del bacino del Lago Ciad, già indebolito dalla disgregazione ambientale e sociale.
Si inizia a lottare e farsi guerra per accaparrarsi le risorse idriche. Una pericolosa corsa agli armamenti che genera fragilità e spezza l’equilibrio sociale. Una crisi climatica che comporta la drammatica riduzione delle dimensioni del bacino idrico del Ciad e alimenta la fiamma di nuovo conflitti (anche in Nigeria, con le continue rappresaglie di Boko Haram).
Insomma, il cambiamento climatica si fa sempre più sentire in quelle zone del mondo già indebolite da conflitti sociali e ataviche tensioni religiose, causando ulteriore morte e distruzione.
“Water wars“
Il pianeta Terra è coperto al 70 dall’acqua, ma soltanto una parte piccolissima, lo 0,5%, è acqua dolce e potenzialmente utilizzabile per alimentazione, agricoltura e allevamento.
Gli Stati, per metterci le mani sopra questa scarseggiante risorsa, combattono economicamente e militarmente tra loro. Ormai da tempo, soprattutto nel corso del Novecento, parliamo di “land grabbing”, ovvero quel fenomeno di appropriazione indebita di terreni agricoli e risorse minerarie. Una corsa olimpionica tra Stati per accaparrarsi diversi beni: oro, terreni coltivabili, uranio, diamanti e soprattutto petrolio. Con l’avanzata della desertificazione, le sempre meno presenti e funzionali precipitazioni e lo stress idrico più in generale, i diversi stati del mondo manifestano sempre più appetiti idrici. Inizia a farsi largo il fenomeno del “water grabbing”, che vede nel XXI secolo non più la lotta per il petrolio, ma per il bene primario per eccellenza: l’acqua. L’ONU ci parla da anni di dati allarmanti relativi a siccità, inquinamento delle falde acquifere, crescita demografica fuori controllo e cambiamenti climatici preoccupanti; tutti fattori che rischiano di rendere l’acqua la causa di un potenziale conflitto su scala globale.
Il rimborso predisposto del Ciad di 75mila capi di bestiame è, perciò, da considerarsi un chiaro esempio della direzione che stanno prendendo i conflitti tra Stati. Al centro del dibattito di questo secolo c’è l’approvvigionamento delle risorse idriche ed alimentari, su cui gravano le conseguenze del cambiamento climatico, In un futuro non troppo lontano lotteremo per garantirci l’accesso ad acqua e cibo.
Fonti: Chad country profile, Angola country profile, Mattanza sul lago Ciad, Land Grabbing, Water Grabbing Observatory